Si registra sempre più frequentemente il comportamento, #fraudolento, del dipendente che si assenta dal lavoro senza fornire alcuna giustificazione per indurre, così, il datore di lavoro a comminare il #licenziamento per assenza ingiustificata consentendo al dipendente la fruizione della #Naspi (Disoccupazione) altrimenti non percepita in caso di dimissioni.
Il datore di lavoro si trovava pressoché obbligato a risolvere il rapporto per giusta causa ex art. 2119 - ed in tal direzione si era pronunziato anche il Ministero del Lavoro in una Circolare - esponendosi a costi aggiuntivi e al rischio di una impugnazione giudiziale del comminato licenziamento.
IL #Tribunale di Udine si è trovato a giudicare un caso in cui il datore di lavoro, stante il protrarsi delle assenze ingiustificate di una dipendente, aveva cessato il rapporto di lavoro come dimissioni in luogo della giusta causa.
La #dipendente, non potendo in questo modo percepire la Naspi, conveniva in giudizio il datore di lavoro lamentando che l'unica procedura valida per le dimissioni fosse quella telematica e quindi la cessazione del rapporto di lavoro intervenuta dovesse essere considerata nulla.
Il Tribunale di Udine in data 27.05.2022 ha emesso sentenza rigettando il ricorso della dipendente e confermando la correttezza dell'operato datoriale.
Il Tribunale, dopo aver ripercorso la storia della normativa ha giustificato la propria sentenza con le seguenti motivazioni:
la norma relativa alle dimissioni telematiche non può che disciplinare la sola ipotesi di una manifestazione chiara, espressa ed unilaterale della volontà del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro per dimissioni. Rimane escluso dal campo applicativo delle dimissioni telematiche il caso in cui le dimissioni siano considerate implicite perché legate ad un comportamento concludente.
la norma relativa alle dimissioni telematiche, non abroga i principi contenuti negli articoli 2118 e 2119 del codice civile, relativi alla recedibilità del lavoratore. Secondo i citati articoli non è necessario incardinare la volontà di dimettersi in un atto formale ma è sufficiente l'estrinsecazione della stessa anche in condotte dalle quali emerga l'effettiva volontà del lavoratore di cessare il rapporto .
la legge delega 183/2014 – relativa al Jobs act – non aveva trascurato l'ipotesi di risoluzione tacita del rapporto di lavoro; tant'è che il Legislatore delegante, nel fissare i principi e i criteri direttivi, aveva tenuto conto della «necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore». Tuttavia, tale inciso è rimasto totalmente inattuato dal Dlgs 151/2015, che si è limitato a regolamentare il solo istituto delle dimissioni telematiche. Il quadro normativo così delineato impone una lettura complessiva che rispetti il principio costituzionale del limite della legge delegata. Sicché anche sotto tale profilo si rafforza la possibilità di affermare la sussistenza delle dimissioni di fatto.
nel comportamento della dipendente, che se assecondato nei sui fini avrebbe prodotto un abuso portante ricadute economiche a carico del datore di lavoro e delle finanze pubbliche, non può che risiedere la volontà di risolvere di fatto del rapporto e ciò a prescindere dal rispetto delle procedure telematiche di cui all'articolo 26, del Dlgs 151/2015 (comunicazione telematica delle dimissioni); in tale comportamento, infatti, il #Giudice ha ritenuto prevalente la sintomatica manifestazione della volontà di non dare più seguito al contratto di lavoro.
il comportamento della dipendete - come cita la pronuncia – lascia presumere che l'intento perseguito sia quello di conseguire illegittimamente l'indennità Naspi.
Stiamo analizzando una Sentenza di un Tribunale di primo grado che vale per quanto tale, ma che sicuramente può essere l'apripista di un filone giurisprudenziale che consolidi tale orientamento. Sempre comunque confidando nell'intervento del legislatore per riportare queste situazioni nel giusto alveo
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